![]() Prima di concludere, qualche breve annotazione storica e tecnica. Alcune di queste canzoni, infine, sono introdotte dai caratteristici Ike’s Rap, vale a dire introduzioni parlate da parte del nostro, in uno stile che poi ha fatto scuola (vedi, ad esempio, la produzione di Barry White). Notevoli anche le restanti cover, vale a dire Part-Time Love (di Johnny Taylor), A Brand New Me (portata al successo da Aretha Franklin), Going In Circles (dei Friends Of Distinction), Help Me Love (di Luther Ingram), For The Good Times (di Kris Kristofferson) e la bacharachiana I’ll Never Fall In Love Again (originariamente interpretata da Dionne Warwick). Sto parlando di Never Can Say Goodbye (l’originale è dei Jackson 5), (They Long To Be) Close To You (originale dei Carpenters), Nothing Takes The Place Of You (originale di Toussaint McCall), Man’s Temptation e Need To Belong To Someone (entrambe di Curtis Mayfield), Never Gonna Give You Up (del celebre duo Gamble & Huff) e soprattutto Your Love Is So Doggone Good, l’originale dei Whispers che qui viene reso come un incredibile orgasmo sonoro da ben 9 minuti e 20 secondi. Alcune di esse sono ormai diventate tra le mie preferite in assoluto, già essenziali per il nutrimento sonoro delle mie orecchie. E se fra queste canzoni quella che meno preferisco è proprio Good Love, per quanto molto interessante e anticipatrice del sound che verrà, le altre tredici sono davvero l’una meglio dell’altra, fondamentalmente tutte in tempo medio e parecchio estese in durata. Le canzoni di “Black Moses” non costituiscono tuttavia una semplice raccolta d’interpretazioni altrui, bensì sono state sottoposte ad un intenso processo di riarrangiamento (forse addirittura di ricomposizione) da parte del nostro, che le ha quindi riplasmate come se in effetti fossero sue. Non scrive perché “Black Moses” è sostanzialmente un album di cover (tranne l’originale Good Love), descritto però dallo stesso Ike come il suo lavoro più personale, incentrato sugli alti & bassi delle storie d’amore. E che grande che è (stato, purtroppo) questo Isaac “Ike” Hayes: canta con la sua tipica voce baritonale, esegue i cori in falsetto, suona il piano, l’organo e altre tastiere, arrangia e conduce l’orchestra, e infine produce il tutto. ![]() Va da sé che non mi sono affatto pentito dell’acquisto, altrimenti non starei nemmeno qui a parlarne: “Black Moses” è un disco bellissimo, appassionato & appassionante, colmo di grande soul music d’annata, a sua volta accompagnata da grandiose partiture orchestrali, registrato in un decennio che ha prodotto della musica eccezionale sotto tutti i punti di vista. Ebbene, sono tornato al negozio di dischi e, a scatola chiusa, senza aver ascoltato un solo brano e senza nemmeno chiedere preventivamente il prezzo, ho comprato la mia bella copia di “Black Moses”. Per un giorno ci ho meditato su: edizione deluxe, mini replica dell’originalissima confezione del ’71, doppio ciddì, critiche benevole, grande artista. Tuttavia, preso dai tanti interessi musicali, quasi avevo dimenticato la ristampa di “Black Moses”, finché, nella scorsa primavera, non l’ho adocchiata per caso in un negozio di Pescara. Mi aveva colpito in particolare la confezione del ciddì, che veniva riproposta per la prima volta così come era stata presentata con l’originale doppio vinile del 1971: apribile da più lati, fino a formare una croce nella quale Isaac Hayes viene immortalato proprio come un Mosè nero, in attesa di ricevere un comandamento divino. ![]() All’indomani della sua morte, avvenuta nel 2008, la Stax Records ha iniziato a ristampare il catalogo di Hayes, tra cui “Black Moses”, la cui recensione su non-so-più-quale-rivista aveva suscitato la mia curiosità. Da anni conoscevo il nome di Isaac Hayes, principalmente come autore dei due classiconi Soul Man e Hold On, I’m Coming interpretati da Sam & Dave, e poco, molto poco, come autore in proprio. ![]()
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